Noe e Jazz (Bruciamo Tutto) ospiti di NewzGen per parlare delle loro azioni e del reddito di libertà

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Redazione

Bruciamo Tutto: La Resistenza Non Violenta per i Diritti e contro la Violenza di Genere

Il collettivo “Bruciamo Tutto” si sta affermando come una voce importante nel panorama transfemminista italiano, promuovendo la resistenza civile non violenta contro ogni forma di oppressione e, in particolare, contro la violenza sulle donne. Abbiamo avuto il piacere di ospitare Noe e Jazz, rappresentanti del movimento, intervistati da Andrea Eusebio e Alessandra D’Ippolito durante la trasmissione Newzgen, per approfondire la loro genesi, le loro azioni e le sfide che affrontano.

Andrea: Noe, partiamo da te. Puoi raccontarci la genesi di “Bruciamo Tutto”, da dove nasce l’idea e il primo vagito del collettivo?

Noe: Bruciamo Tutto nasce alla fine del 2023, dietro le quinte. Abbiamo iniziato a lavorare al progetto dopo la grande “marea transfemminista” che si è attivata a seguito del femminicidio di Giulia Cecchettin, quindi a novembre 2023. Nasce ufficialmente, con la prima azione e la prima campagna, l’8 marzo 2024. È un movimento di resistenza civile non violenta perché, a seguito di quell’evento tragico e di una serie di oppressioni che viviamo da sempre, abbiamo sentito l’urgenza di fare qualcosa. Ci sono tante realtà femministe in Italia, ma nessuna delle più grandi utilizza la resistenza civile non violenta, quindi sentivamo di voler portare la nostra parte.

Alessandra: A quasi un anno e mezzo dalla nascita, cosa è diventato “Bruciamo Tutto”? All’inizio eravate poche persone, ora sembra un movimento più corposo.

Noe: Diciamo che siamo sempre in evoluzione, il che è molto positivo. Abbiamo la prontezza di metterci continuamente in discussione e di guardare sia le cose fatte bene che gli errori. L’obiettivo rimane lo stesso: essere un movimento di resistenza civile non violenta. Sì, ora abbiamo più persone che vogliono impegnarsi nel lavoro concreto dietro le quinte e anche direttamente nelle azioni. C’è gente che ci scrive, ci supporta, e riceve donazioni. Un traguardo importantissimo è che ora abbiamo una coalizione a supporto della nostra richiesta per il miglioramento del reddito di libertà, e di recente si è aggiunta anche D.i.Re, la rete dei centri antiviolenza nazionale.

Andrea: Jazz, rileggendomi al nome “Bruciamo Tutto”, ti chiedo: è più la pressione della fiamma che avete dentro e volete esprimere, o la pressione dall’esterno che sentite nel voler tarpare il vostro desiderio di comunicazione?

Jazz: Penso che si colleghi a quello che diceva Noe: all’interno di Bruciamo Tutto ci sono molte individualità con un “cuore ardente”. Questa è una componente fondamentale per mettere il proprio corpo e la propria voce durante le azioni in piazza, che necessitano di confronto. È fondamentale mantenere questa fiamma per trovare un riscontro all’esterno, ma anche per mantenere viva la fiamma accesa dalle “sorelle” che ti accompagnano nel percorso. C’è tanta cura, preparazione e organizzazione sia nel pre che nel post di ogni manifestazione, un aspetto che spesso non viene visto, ma è fondamentale per il successo delle nostre azioni.

Alessandra: Parlavate di azioni, e le abbiamo seguite e documentate. Perché questo intensificarsi delle iniziative, specialmente nell’ultimo mese, davanti al Ministero dell’Economia, all’Altare della Patria, alla Presidenza del Consiglio?

Noe: La resistenza civile non violenta funziona proprio così. Ci sono periodi di preparazione, che sono “dietro le quinte”, con molto studio e riunioni. Poi ci sono periodi in cui tutto viene portato in scena, a volte con piccole performance. Questo è chiamato “iterazione”, un periodo di azioni susseguite una dopo l’altra. Lo scopo, a livello mediatico, è attirare maggiore attenzione: pubblicare tre o quattro azioni in due o tre settimane ha un impatto molto maggiore che pubblicarne una al mese. Questo accresce l’attenzione sulla causa che portiamo avanti, non su di noi come singole persone. Inoltre, mette pressione a livello politico e istituzionale per la nostra richiesta del miglioramento del reddito di libertà.

Andrea: I luoghi delle vostre azioni sono simbolici. Quella al Ministero dell’Economia, la piazza vicino a Piazza Flaminio, e l’ultima al Ministero degli Affari Regionali dove avete provato ad affiggere la mappa della carenza di centri antiviolenza. Visto che in Italia si parla tanto di violenza di genere, ma poi i servizi territoriali mancano, qual è la vostra idea? C’è ipocrisia o una volontà politica di non intervenire?

Jazz: Sicuramente è una questione molto legata alla cultura che portiamo avanti, un fattore culturale e sociale. Non è visibile la carenza di servizi essenziali per la persona in certe circostanze. La violenza esplicita è facile da condannare, ma quella implicita, come il concetto dei “panni sporchi che si lavano in famiglia”, è difficile da affrontare. Questa frase si sente spesso, indipendentemente dall’età, e il pattern sociale impedisce che certe situazioni vengano esposte. Quando vengono esposte, ci rendiamo conto della carenza dei servizi e di tutto il terzo settore. La cura alla persona è stata storicamente associata a una figura femminile, e questa visione standardizzata dei ruoli familiari si ripercuote socialmente. Anche la sanità pubblica è in declino e sempre più privatizzata. Noi cerchiamo di riportare il senso di comunità, affinché la società tutta possa beneficiare dei servizi essenziali.

Alessandra: Sembra che manchi la consapevolezza che la violenza di genere sia un problema di tutti, non solo di “quella famiglia là”. Nemmeno le cifre, che fanno paura, ci spingono a prenderla a cuore. E le istituzioni politiche nazionali spesso non la mettono all’ordine del giorno, se non l’8 marzo o in qualche ricorrenza. Cosa ne pensi, Noe?

Noe: Noi abbiamo fatto un’altra azione meno mediatica ma molto interessante per il contatto con le persone. Un quiz interattivo dove si chiedeva ai passanti di immedesimarsi in un’identità immaginaria con diverse variabili e poi, alla fine, si aggiungeva: “Immagina di essere una persona socializzata come donna che subisce violenza domestica, senza accesso ai tuoi soldi, con figli, e quei 500 euro al mese di reddito di libertà (massimo per un anno) non bastano”. Questo per dire che un grande problema è mettersi nei panni di chi sta attraversando una cosa del genere. Purtroppo, la nostra politica è dominata da uomini CIS, ed è molto difficile che queste persone riescano a comprendere dalla loro posizione privilegiata cosa significa lottare per la tua vita per uscirne, con tutte le implicazioni economiche, lavorative e psicologiche del trauma.

Andrea: Parlando di comunicazione e organizzazione interna, Jazz, come vi organizzate e scegliete i temi per i vostri approfondimenti serali e i “cerchi”?

Jazz: C’è un’organizzazione a priori: individuiamo figure professionali che possono supportare i nostri “cerchi”. Si parte sempre dalle esigenze delle persone che partecipano al cerchio per fare una restituzione comunitaria. Per esempio, negli ultimi incontri il tema è stato la genitorialità, proprio perché è venuto dalle esigenze delle partecipanti. È fondamentale partire dai bisogni degli individui per poi portarli alla comunità. Spesso, ciò che c’è dietro l’azione è un momento di cura e conforto tra le partecipanti. È necessario comprendere il carico emotivo che ognuno vive e poterlo condividere, ricevendo validazione per emozioni e bisogni. La parola è molto importante, ma bisogna trovare spazi che possano accoglierla, e questo è ciò che cerchiamo di fare.

Alessandra: Parlando del reddito di libertà, si è detto che nel PNRR ci sarebbero fondi per centri antiviolenza, case rifugio e progetti vari, ma c’è silenzio sulle somme stanziate e sui report. Noe, a te la parola per promuovere il reddito di libertà e parlare delle donazioni.

Noe: Sul reddito di libertà c’è tanto da dire. È stato alzato da 400 a 500 euro mensili massimi, ma questi fondi verranno tagliati nel 2026, sembrando quasi un contentino. Nonostante siano stati stanziati, più della metà delle domande idonee non ottiene il reddito, perché i fondi non sono sufficienti. Questo significa che le domande sono tantissime e c’è un grande problema di violenza. Per fare domanda, è obbligatorio passare da un centro antiviolenza. Se nel tuo comune non c’è, non puoi fare richiesta. Nella Convenzione di Istanbul, firmata 12 anni fa, l’Italia si è impegnata ad avere un centro ogni 50.000 donne, ma ne mancano almeno 400. Questo non solo è un problema di per sé, ma impedisce l’accesso al reddito a moltissime persone.

Andrea: E per le donazioni a “Bruciamo Tutto”?

Noe: Tante persone ci chiedono del 5×1000, ma purtroppo non possiamo ancora riceverlo. Però possiamo ricevere donazioni tramite il nostro sito, bruciamotutto.org, nella pagina “Donazioni”. Si può fare una donazione una tantum o mensile, disdicibile in qualsiasi momento. Ogni contributo è utile, anche un euro, perché le spese legali per ogni processo che affrontiamo a seguito delle azioni sono circa 2000-3000 euro, ed è difficile sostenerle senza donazioni.

Andrea: Noe e Jazz, grazie mille per essere state con noi. In bocca al lupo a “Bruciamo Tutto” e alle vostre battaglie, che come abbiamo detto sono anche le nostre.

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