Francesca Scarpato (Azione) ospite di NewzGen per parlare del Budapest Pride, di Europa e democrazia

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Redazione

Francesca Scarpato (Azione) ospite di NewzGen per parlare del Budapest Pride, di Europa e democrazia

Il Pride di Budapest: Un Monito all’Europa

Il recente Pride di Budapest ha acceso i riflettori di tutta Europa, non solo per la sua importanza come manifestazione a favore dei diritti LGBTQIA+, ma anche come potente messaggio politico rivolto all’Unione Europea e, in particolare, al leader ungherese Viktor Orbán. Abbiamo approfondito l’argomento con Francesca Scarpato, che è stata intervistata da Andrea Eusebio e Alessandra D’Ippolito durante la trasmissione Newzgen.

Andrea: Oltre al Pride di Milano, gli occhi dell’Europa erano puntati su Budapest. Qual era il messaggio principale di questa manifestazione, specialmente considerando la situazione politica in Ungheria con il suo leader Orbán?

Francesca: Credo che sia stato un monito che forse è partito con l’intento di chiedere il riconoscimento dei diritti civili per la comunità LGBTQIA+, ma si è trasformato in qualcosa di più grande: una vera e propria reazione dell’Europa. Essendo stata lì, posso dire che mi sono sentita profondamente europea, in Europa e a difesa dell’Europa. C’erano oltre 70 leader europei di diverse sensibilità politiche che hanno sentito l’esigenza di dire: “Se si sta in Europa, si sta in un certo modo”.

Alessandra: Ti aspettavi una partecipazione così massiccia? La manifestazione è stata differente rispetto ai Pride tradizionali a cui sei abituata?

Francesca: Assolutamente no. Ci si aspettava tra le 35.000 e le 40.000 persone, ma eravamo tra le 100.000 e le 200.000. È stato un momento molto intenso e forte. Io partecipo ai Pride da quando avevo 15 anni a Napoli e sono spesso delle feste estrose, un po’ estremizzate per attirare l’attenzione. Questo non era il caso: era una manifestazione molto più seria e composta, proprio perché, secondo me, si è trasformata in una vera e propria difesa di ciò che significa essere europei. In Europa si rispetta lo stato di diritto, e Orbán ha evidentemente superato ogni limite.

Andrea: Orbán ha una storia di politiche controverse sui diritti. Puoi darci qualche dettaglio in più su come si è arrivati a questa situazione?

Francesca: Questa situazione ha radici più antiche e profonde. Nel 2011 Orbán introdusse una legge, poi ripresa nel 2021, utilizzando come pretesto uno scandalo di pedofilia nel suo governo. Ha sfruttato questa leva per introdurre una legge che, per “tutelare i minori”, finiva per paragonare la pedofilia all’omosessualità. Già all’epoca fece scalpore, e ora ce l’ha riproposta vietando di fatto questa manifestazione. La risposta, anche dall’Unione Europea, è stata molto bella e forte.

Alessandra: Avete percepito tensione o paura durante i giorni precedenti e durante la manifestazione, considerando le direttive del governo ungherese?

Francesca: C’era molta agitazione. Ci dicevano di stare attenti, che ci sarebbero state sanzioni e che c’erano telecamere ovunque. Il giorno prima, durante incontri istituzionali con il sindaco (che ha difeso il Pride con la spada tratta), vedevamo gruppi di ultradestra in strada con atteggiamento “bullesco”, alimentando la tensione. La verità è che nel momento in cui è iniziato il Pride, la reazione di essere una grande comunità e di essere così tanti ha reso impossibile qualsiasi ritorsione. La polizia ha provato a rallentare, ma non è successo nulla di grave. Credo sia stata una reazione molto bella.

Andrea: Nonostante la massiccia partecipazione, ci sono ancora commenti che minimizzano l’importanza di intervenire su leggi di altri stati membri. Cosa rispondi a chi dice “con tutto quello che succede, vi occupate di una legge fatta in un altro stato?”

Francesca: Innanzitutto, non è “un altro stato a caso”, è uno stato dell’Unione Europea. Il vero problema è che molti non hanno ancora capito cosa significhi essere europei, nel bene e nel male. Essere europei vuol dire sentire che quando la più piccola delle ingiustizie, e questa è una grande ingiustizia, accade in uno stato membro, sta accadendo a noi. Lo stato di diritto è il principio delle democrazie e dell’Europa, e lì dove viene leso, è fondamentale essere presenti per far sentire la nostra voce e dare un contributo.

Alessandra: Come si può concretizzare questa presa di posizione di Budapest nei prossimi mesi, affinché non resti solo simbolica?

Francesca: Non bisogna mai abbassare l’attenzione su ciò che sta succedendo. Orbán è al potere in Ungheria in maniera continua da 15 anni e i suoi interventi, come mettere le mani sulle nomine dei giudici, ridurre la libertà di stampa, modificare la Costituzione o limitare le libertà, non sono cose di cui ci si può disinteressare. Essere presenti, come abbiamo fatto a Budapest o come faccio io recandomi in Ucraina, non è solo un simbolo, ma un modo per tenere alta l’attenzione. È importante che l’Europa non sia timida e continui a far capire a Orbán che, se vuole restare nell’Unione, non può comportarsi così. Questo è anche un monito per gli ungheresi che andranno al voto il prossimo anno.

Andrea: Parlando di un’Europa più unita, Azione si batte anche per un’Europa unita dal punto di vista della difesa e di un riarmo. Qual è la vostra visione in merito?

Francesca: Ciò che sta accadendo ci mette di fronte a una verità: ciò che davamo per scontato, ovvero essere sotto il cappello della NATO con l’America che faceva i nostri interessi, non accade più. Se scoppiasse un conflitto, i nostri confini non sono più solo quelli nazionali, ma quelli dell’Europa. Dobbiamo farci trovare preparati. Inoltre, Orbán è di fatto la quinta colonna di Putin in Europa, con rapporti molto stretti legati a gas, petrolio e accordi nucleari segretati. Dobbiamo avere le idee molto chiare su chi sono i nostri alleati e chi no.

Alessandra: Tornando all’Italia, come si può agire sui temi dei diritti civili con l’attuale governo, che ha un forte consenso?

Francesca: Dobbiamo continuare a non abbassare mai l’attenzione. Qualsiasi minima erosione dello stato di diritto, dei diritti e delle libertà va denunciata e presidiata. Essendo all’opposizione, il nostro compito è far sì che si rispetti lo stato di diritto, tenere alta l’attenzione e non far passare niente, neanche la minima cosa, come se fosse normale. Dobbiamo denunciarlo fino allo sfinimento con tutti gli strumenti utili, parlamentari e non, dalla piazza e non dalla piazza.

Andrea: A Budapest si sono visti insieme Carlo Calenda ed Elly Schlein. In un contesto di forte bipolarizzazione politica e mediatica, c’è ancora spazio per un “terzo polo” più centrista?

Francesca: Azione è nata proprio quando il Partito Democratico fece l’accordo con il Movimento 5 Stelle, quindi la nostra sensibilità di origine è chiara. Il PD, da allora, ha avuto una scivolata sempre più tendente verso i populismi, mentre Azione ha cercato di tenersi lontana da questi due poli che si estremizzano in modi che non permettono la governabilità. Il nostro obiettivo è riportare la politica al buon senso, a fare le cose che servono al paese, collaborando con le opposizioni quando ci sono punti in comune, o supportando il governo se le proposte sono di buon senso. Siamo un paese che declina da 30 anni, abbiamo bisogno di essere rimessi in sesto, non di un teatrino politico.

Alessandra: Proprio oggi Carlo Calenda ha lanciato un appello per una nuova Costituzione, auspicando un’Assemblea Costituente. Siamo messi così male da averne bisogno?

Francesca: Siamo messi così male perché la seconda parte della Costituzione è stata toccata più volte e molto male. Dobbiamo rimettere mano alla divisione dei poteri tra Stato e Regioni, che è devastante e crea divari tra regioni di serie A e B. Anche gli iter legislativi del nostro bicameralismo perfetto rallentano tutto. Dobbiamo sederci a un tavolo con tutte le forze politiche e capire cosa funziona e cosa no per migliorare il paese. La politica deve tornare a occuparsi dei problemi reali delle persone, che non vanno più a votare perché non la considerano più utile.

Andrea: Tornando infine a Budapest, come hai vissuto personalmente l’esperienza, al di là dell’impegno politico? C’era un’agitazione particolare, magari legata al caso Ilaria Salis?

Francesca: Per me è stato un grande bagno di paura e dopo consapevolezza, simile alla prima volta che siamo stati in Ucraina. La sera prima della partenza c’era molta tensione, alimentata anche da avvertimenti e dalla presenza di gruppi di ultradestra. Parlare con le istituzioni ci ha chiarito la situazione. Budapest dà un grande senso di sicurezza per le telecamere e la polizia ovunque. Ma la tensione si è totalmente dissipata all’inizio del Pride. È stato un momento bellissimo, famiglie e persone riunite, indipendentemente dalla nazionalità. Non c’era più paura. È stata una marcia meravigliosa, non una festa estrosa, ma un voler dire a Orbán: “Non ci rappresenti, siamo per le libertà, siamo per l’amore”.

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